Lolita 1

Lolita

L’ammirazione espressa da David Lynch nei confronti di Stanley Kubrick non è un segreto. Nella sua personale selezione cinematografica in occasione dell’AFI Festival, nel 2015, Lolita, film del 1962 tratto dall’omonimo romanzo di Nabokov,  compariva tra i primi cinque.  Il suo commento al film, in quell’occasione fu:

“James Mason, Peter Sellers, Shelley Winters and Sue Lyon, they are just great performances. It’s a time and a place and a sensibility. That thrills my soul.”

In questo caso l’ispirazione, o forse l’omaggio che egli ne rende, in Twin Peaks, è uno dei principali indizi per lo spettatore. La piccola Lolita, ninfetta senza scrupoli, vittima e carnefice allo stesso tempo, nasconde un terribile segreto agli occhi della società, che la giudica graziosa principessa al fianco di un patrigno amorevole. Il triangolo Lolita-Charlotte-Humbert, viziato nelle intenzioni dei singoli, appare malsano solo allo spettatore, o al lettore, che conosce la vicenda. Nell’immagine di Laura, così simile a Sue Lyon/Lolita, e di Leland, così simile a James Mason/Humbert, c’è l’invito di Gordon/Lynch alla comprensione del mistero attraverso il confronto. Non ho molto da aggiungere a quest’intuizione, se non un parallelismo di immagini più esplicito di qualunque bizzarra congettura “alla Dale Cooper”, il quale si lascerebbe distrarre dalle incredibili torte di ciliegie della signora Charlotte, madre di Lolita. Che coincidenza, tra l’altro.

 

La copertina del romanzo ha qualcosa di  familiare, non trovate? Certo, almeno fino a quando l’innocenza non cede il passo alla curiosità di scoprire dove porta la strada di mattoni dorati.

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Lolita,luce della mia vita, fuoco dei miei lombi.

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